Sono 30 milioni gli ulivi da salvare in Italia abbandonati a causa del cambiamento climatico e per l’esplosione dei costi che mettono a rischio anche la sopravvivenza di quel patrimonio di biodiversità e storia rappresentato dagli alberi secolari. Per la stagione olivicola appena iniziata, le prime stime parlano di un crollo della produzione nazionale di olive con le famiglie del Belpaese devono dire addio a quasi 1 bottiglia su 3 di olio extravergine Made in Italy.

A pesare sulla produzione nazionale, con un calo del 30%, è stata una siccità devastante mai vista negli ultimi 70 anni che ha messo in stress idrico gli uliveti danneggiando prima la fioritura e poi le gemme, soprattutto in quelle zone dove non si è potuto intervenire con le irrigazioni di soccorso per dissetare e rinfrescare le piante. Ma diverse aziende hanno deciso di non intervenire per gli elevati costi di carburante, elettricità, service e prodotti di supporto alla nutrizione dei terreni. Salva la qualità, con l’Italia che può vantare il più ricco patrimonio di varietà di olii a livello mondiale. Il 20% del patrimonio nazionale di 150 milioni di piante di ulivo in Italia risulta però in stato di abbandono  a causa degli effetti della guerra in Ucraina e delle tensioni internazionali che rendono difficili gli investimenti in olivicoltura. Con l’esplosione dei costi aumentati anche del 200% per le aziende olivicole quasi 1 su 10 (9%) lavora in perdita ed è a rischio di chiusura, secondo dati Crea.

Un allarme colto anche da Coldiretti e Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano in occasione della raccolta dall’ulivo plurisecolare Albero Bello di Villa Adriana a Tivoli che ha dato vita all’olio dell’imperatore Adriano a conferma di un legame antichissimo dell’Italia con uno degli alimenti principali della Dieta Mediterranea. Dallo studio di piante plurisecolari come l’Albero Bello di Villa Adriana, attraverso un progetto del Crea/Ofa, si potrà arrivare ad individuare caratteri utili per la resilienza al cambiamento climatico, per il comportamento produttivo, per la versatilità nei confronti delle esigenze di intensificazione sostenibile della coltivazione dell’ulivo e per migliorare le caratteristiche salutistiche dei prodotti. 

La civiltà romana fu quella che più d’ogni altra contribuì alla diffusione dell’olivo e al perfezionamento delle relative tecniche di coltivazione e di estrazione. L’olio divenne una delle principali ricchezze dei Romani che conoscevano talmente bene il prodotto da mettere a punto tecniche e strumenti rimasti quasi invariati fino al XIX secolo e, per primi, classificarono gli oli in base alle loro caratteristiche organolettiche. Marco Porzio Catone (234-149 a.C.) e Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) scrissero i primi “disciplinari di produzione” olivicoli, delineando i fondamenti teorici e tecnici che ancora oggi sono alla base delle produzioni di oli d’oliva di qualità con una gamma inimitabile di sentori, profumi, sfumature sensoriali e gradi di intensità.

Una cultura conservata nei secoli che ha portato oggi l’Italia ad essere la regina dei riconoscimenti di qualità in Europa con il suo patrimonio di 42 Dop e 7 Igp olivicole, pari al 40% delle certificazioni comunitarie, mentre Spagna e Grecia inseguono il nostro Paese a distanza con appena 29 riconoscimenti. Più della metà della produzione nazionale di olii Dop e Igp viene esportata con il valore degli scambi cresciuto del +55% negli ultimi cinque anni, passando da 40 a 62 milioni di euro.

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