Vengono definiti “cambiamenti di regime” e sono variazioni inattese determinate dalla pesca o dal cambiamento climatico globale di origine antropica. Trasformano irreversibilmente ecosistemi “che non sono più in grado di tornare al punto di partenza” (e se cambieranno ancora non è dato sapere), in termini di abbondanza di organismi e processi ecologici, con potenziali ricadute sulla biodiversità e la produttività delle risorse ittiche. Dunque, l’ecosistema dell’Alto Adriatico sembra essere cambiato in modo irreversibile. Niente sarà più come prima. Ma di che cambiamento parliamo? E cosa si intende per “prima”?

Alcune risposte arrivano dallo studio Stable landings mask irreversible community reorganizations in an overexploited Mediterranean ecosystem, pubblicato sul Journal of Animal Ecology dai ricercatori del dipartimento di Biologia dell’ateneo di Padova, in collaborazione con l’Università di Amburgo e CNR-ISMAR. Camilla Sguotti, ricercatrice post-dottorato nel programma europeo Marie Skłodowska-Curie Actions presso il dipartimento di Biologia dell’ateneo di Padova, è la prima autrice e racconta l’origine di questo studio: “Prima di tornare in Italia lavoravo all’università di Amburgo e lì mi occupavo di cambiamenti di regime nel mare del Nord. Sono sempre rimasta in contatto con Padova, dove ho studiato. A un certo punto, con Carlotta Mazzoldi e Alberto Barausse, abbiamo pensato di applicare gli stessi metodi per studiare anche l’Alto Adriatico, utilizzando la banca dati del mercato ittico di Chioggia. Non esistevano lavori di questo tipo, dedicati cioè alle dinamiche delle diverse specie, ai cambiamenti recenti delle specie nell’Alto Adriatico. E non c’erano lavori sui cam biamenti di regime […] legati ai tipping points e diventati argomento di discussio ne con il climate change”. La Fao, Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite, attraverso il lavoro della General fisheries commission for the Mediterranean, che opera su scalaregionale per la gestione della pesca, ha presentato The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries (SoMFi), il rapporto sulla pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Nell’ultimo decennio, la pesca eccessiva nel Mediterraneo e nel Mar Nero si è ridotta. Il database Clodia ha fornito i dati partendo dagli anni Ottanta. I ricercatori hanno evitato l’analisi di anni precedenti – il database raccoglie dati dal 1945 -, in quanto legati a metodi di pesca antiquati e a una diversa pressione. I dati sono relativi alla pesca, e “questo può determinare un bias rispetto alle informazioni che potremmo ottenere attraverso campionamenti scientifici”, precisa Sguotti. A determinare il limite è proprio l’essere umano: “Il pescatore può scegliere una specie e scartarne altre, o ancora, può cambiare area di pesca; con i campionamenti scientifici sicuramente questo problema non si sarebbe posto. In fase di discussione del lavoro, ci siamo soffermati

a lungo su questi limiti. Ma c’è da dire che nell’Alto Adriatico la pesca è multispecifica e quello che i pescatori riescono a prendere, di solito, tengono; esistono quindi delle attenuanti che ci portano a pensare che questi dati rispecchino abbastanza fedelmente la comunità. In ogni caso, in futuro, amplieremo l’indagine e utilizzeremo anche altri dati per poter confermare le nostre teorie”.

I dati parlano chiaro: cambiano le composizioni, le quantità delle singole specie, ma il totale del pescato resta più o meno stabile. E questo può mascherare la situazione reale. Ci sembra che l’ecosistema stia bene, che produca, fornendoci le risorse, ma in realtà si sta semplificando, andando verso una diversa composizione. “Questo è successo anche altrove, negli ecosistemi del Canada, per esempio, e nel Mare del Nord. Il punto è che se si continua a sfruttare, non si sa cosa accadrà: non possiamo arrivare a specie sempre più piccole e sempre più adattabili”. Per quanto riguarda le trasformazioni della comunità, “l’Alto Adriatico ha subito grossi cambiamenti determinando quattro fasi della comunità: nel 1980, nel 1987 – questo, in particolare, si è verificato contemporaneamente anche in altri ecosistemi, nel mar del Nord e nel Baltico, per esempio -, nel 1997 e nel 2012. Sono fasi diverse: nella prima erano più abbondanti i grandi predatori, per esempio gli squali e in generale pesci più grandi, ma spostandoci man mano verso i giorni nostri possiamo constatare la presenza abbondante di pesci con life-history più rapide, che si riproducono velocemente, come la sogliola, le triglie di fango, la gallinelle, pesci per la maggior parte demersali, che stanno sul fondo, e anche un crostaceo, in particolare, la canocchia”. E Sguotti continua: “Per quanto riguarda la parte pelagica troviamo le sardine, diventate più abbondanti delle acciughe: sull’argomento esistono da tempo alcuni studi che lo confermano e spiegano anche il perché, legando le cause all’aumento delle temperature e alla presenza delle meduse. Le informazioni nuove arrivano invece dalla parte demersale, anche se siamo ancora nel campo delle ipotesi, non esiste infatti letteratura a riguardo. Sulla maggior presenza della sogliola, della canocchia e della triglia abbiamo provato a fare delle ipotesi: cambiando la comunità e semplificandosi, potrebbero esserci prede più piccole nel sedimento, quelle di cui si nutrono, oppure questa trasformazione potrebbe essere legata ad alcune scelte di gestione, come la chiusura di aree di pesca, che erano anche aree di riproduzione della sogliola”.

La parte più innovativa dello studio è legata ai metodi: “Studiare questi cambiamenti di regime è difficile e controverso perché, trattandosi di dinamiche discontinue, esistono pochi modelli matematici e statistici in grado di catturarli – precisa Camilla Sguotti -. In passato si è andati a verificare la presenza del tipping point ma non si è mai testata la possibile irreversibilità, perché statisticamente è complicato.

Nel corso dei miei studi ad Amburgo, insieme al professore Christian Möllmann, che è anche tra gli autori di questo lavoro, abbiamo individuato un metodo, principalmente usato in economia, che permette di andare a modellare questo tipo di dinamiche discontinue utilizzando una particolare equazione matematica e può indagare la reversibilità o l’irreversibilità del cambiamento. Mette a confronto tre possibili dinamiche basandosi sui tipi di dati e di driver, nel nostro caso la pressione di pesca e i cambiamenti climatici, e il risultato ci dice se siamo in presenza di un cambiamento di regime (regime shift) e se questo è reversibile oppure no. Questo metodo, ancora poco utilizzato in ecologia, fa parte della teoria delle catastrofi di Thom”. “Abbiamo creato due modelli: per studiare la comunità abbiamo dovuto semplificarla perché sarebbe stato impossibile fare una analisi con tutti i dati. Questo metodo richiede una serie temporale della comunità e due serie di driver: pesca e cambiamenti climatici.    (Da Wigwam News, n. 345, 11.12.2022) 

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