Sono 75mila gli apicoltori italiani che curano 1,6 milioni di arnie. Esiste quindi una “bee economy”, un settore del made in Italy fondamentale per la difesa della biodiversità. In Italia – secondo il Centro Studi Divulga – si consuma circa mezzo chilo di miele a testa all’anno, sotto la media europea che è di 600 grammi ma un terzo rispetto alla Germania. L’Italia vince però in biodiversità con più di 60 varietà da quelli Dop come il Miele della Lunigiana, e il Miele delle Dolomiti Bellunesi e il miele Varesino, fino a quelli speciali in barrique o aromatizzati, dal tiglio agli agrumi, dall’eucalipto all’acacia. Una economia però fortemente a rischio. Oltre ai problemi determinati da alcuni anni, già visibili anche nel 2024, dai cambiamenti climatici, c’è quello pesante della concorrenza sleale.
Nei primi due mesi dell’anno sono arrivati quasi 4,8 milioni di chili di prodotto straniero, di cui oltre ¼ di provenienza Extra Ue, spesso di bassa qualità e a prezzi stracciati, che esercita una pressione al ribasso sulle quotazioni di quello italiano, mettendo in difficoltà i produttori nazionali (dati Istat).
L’Ungheria ha praticamente raddoppiato le vendite nel nostro Paese.
Che fare? Un aiuto è giunto dalla nuova Direttiva Breakfast varata dall’Unione Europea che introduce un’etichetta obbligatoria e chiaramente visibile del paese di origine, e avvia un processo per creare un sistema di tracciabilità del prodotto. Nel caso di miscele, l’etichetta includerà anche la percentuale per ciascun Paese di provenienza. Un passo avanti importante verso la trasparenza, segnala Coldiretti, che va ora completato introducendo il principio di reciprocità, per evitare che nel nostro Paese arrivi miele prodotto secondo modalità vietate in Europa.

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